La mia esperienza in Africa


Pubblichiamo con piacere il racconto di David Melandri che ha partecipato come osservatore alla Missione 2016 Uganda insieme ai nostri volontari (20-29 settembre 2016)

LA MIA ESPERIENZA IN AFRICA

 

Esperienza e ricordi di viaggio di David Melandri
Settembre 2016

MUZUNGO…..Muzunzo…….ungo……
Credo che questo nome riecheggerà per molto tempo nelle mia testa.
Nella loro lingua vuol dire “ Uomo Bianco ”.
Detto da un Africano adulto, può risultare offensivo al pari del nostro “Negro”, ma indirizzatoci dai stupendi bambini che al nostro passaggio ci apostrofavano con questo nome, mi è rimato nel cuore .
Come un richiamo che, un giorno, mi riporterà sicuramente in “ Africa ”, e quel giorno questo muzungo ci tornerà di sicuro a rispecchiarsi negli occhi profondi e sinceri di quei bambini.

All’inizio del viaggio che ho avuto il piacere di affrontare con Mauro Tripodi, Ivan Bigari e Stefano Agostinelli (detto amichevolmente Cerasello ) tre rappresentanti di spicco dell’associazione “AICO  Il Caprifoglio onlus” con cui collaboriamo attivamente da alcuni anni, mi è stata rivolta la domanda “ Sei già stato in Africa?”.
Ed io , già avendo sentore di quello che avrei trovato, ho risposto Si e No.
Si, perché ho visitato Egitto, Tunisia e Marocco, No perché ritengo che queste nazioni non rispecchino l’Africa Nera ma siano piuttosto definibili sud Europee.

Per trovare la vera Africa, si deve raggiungere l’equatore.
Una volta giunti in Uganda , ho avuto piena conferma di questo presentimento.
Se è vero che la povertà non ha nazionalità, e si somiglia in tutte le parti povere del pianeta, è pur vero che quella che ho trovato in Uganda è una povertà piena di dignità.

Pur nella condizione che ho trovato nel remoto villaggio di Rushooka, ben lontano dalla capitale e dalle città più importanti, non mi è capitato mai di vedere persone che mendicavano. Tutti, chi più e chi meno, si indaffaravano  per crearsi il minimo della sussistenza quotidiana.
Chi proprio non aveva nulla, usufruiva della carità dei frati francescani che dirigono la missione Cristiana  insediata nel villaggi.
Ma sempre senza pietire o mendicare.
Con una dignità che ho raramente riscontrato in un paese povero.

Il mio soggiorno, e quello dei miei compagni di viaggio, che mi hanno guidato in questa mia prima esperienza Africana, è stato a sua volta un’esperienza all’interno della missione che l’associazione AICO si era prefissa in questo viaggio.
Vivere in un convento di Frati Francescani ( Fidelis, Agapitus e Francis ) e con i Missionari Laici, Giorgio e Marta, e condividere le loro regole e stile di vita, ha facilitato il mio approccio con quella realtà.
È stato quanto mai gratificante condividere quotidianamente lo svolgersi delle giornate.
Dalla colazione nella cucina di Marta, tutti insieme e non prima della preghiera di ringraziamento, la condivisione ha cementato quel gruppo così disomogeneo fino a farlo diventare un’unica famiglia.
Pranzo e cena vedevano lo stesso rito e, fortunatamente, senza televisore e telefonini, si parlava gioiosamente fino a quando uno di noi si alzava per fare i piatti , un altro si dedicava al caffè, e Marta  ( in attesa di un bimbo per l’inizio del nuovo anno ) si ritirasse nella sua stanza.

Mi sono sentito accolto come e meglio che se fossi in famiglia.

Il rispetto reciproco delle esperienze passate che ci hanno forgiato, sì diversi  ma aperti ad accettare punti di vista anche non allineati al nostro, ci ha permesso di avvicinarci gli uni a gli altri senza quegli schermi che ci precostituiamo in occidente.
La vita di comunità è stata in fin dei conti la parte inaspettata e per questo molto gratificante, che ho avuto in regalo da questo viaggio.
Per tornare al cuore della missione, che consisteva nel posare la prima pietra del progetto Miriam, la costruzione di una casa che ospiterà gratuitamente i ragazzi orfani che vivono per strada, il ricordo  mi riporta ai brividi che ho provato nel posare quel mattone con il, numero 1 scritto a gesso sopra di esso.
In quel semplice ma grande gesto, si è concentrato tutto il senso della mia vita.

Tutto quello che ho passato e vissuto per essere quello che sono diventato, nel bene e nel male, mi è scorso davanti a gli occhi in un micro secondo.

È stato come una confessione che mi ha riappacificato con i miei errori e caricato di buoni propositi.
In quel mattone c’era l’essenza di DIO.
Quel semplice gesto, durato meno di un minuto, è stato  non meno di una messa, con l’omelia, la predica, e la comunione pacificatrice.
Sono sicuro che mia Mamma da lassù mi ha seguito e anche con lei, con quel gesto,  ho stretto un’accordo di pace.

Per questo ringrazio Giorgio Scarpioni che, in quanto missionario  sul luogo, è stato finalmente il tramite giusto ed affidabile, che ci ha permesso di iniziare a realizzare e seguire personalmente i progetti sostenuti dall’AICO.

I bimbi Ugandesi
Quegli occhi neri, profondi e pieni di perché? , mi seguiranno per il resto della mia vita.
La voglia di elargire qualche spicciolo, peraltro non richiesto, mi prendeva spesso, ma forte degli insegnamenti dei miei compagni e dei missionari del convento, mi trattenevo dal farlo.

Un bimbo di circa tre anni ha colpito la mia attenzione al primo giorno di riapertura delle scuole.
Solo con il suo zainetto sulle spalle , in attesa che la scuola aprisse un’ora dopo, circondato dai ragazzi più grandi che ormai avvezzi ed introdotti nella routine scolastica giocavano in cortile, piangeva a dirotto con una riga di muco che usciva dal naso.
Inconsolabile, ho cercato di avvicinarmi a lui ma, scontroso , non voleva l’approccio di nessuno.
Mi ricordava proprio i nostri bambini che al primissimo giorno di scuola si comportano allo stesso modo.
Solo che lui doveva affrontare quell’enorme problema da solo, senza una madre che lo supportasse.
Allora sono tornato al convento a prendere un paio di biscotti per addolcirlo.
Quando gli ho dato i biscotti li ha presi, ma questo non lo ha fatto smettere di piangere ansi, mi ha guardato con gli occhioni bagnati e senza parlare mi ha intimato di lasciarlo stare.

Per cui, la sera quando mi coricavo nella mia cameretta, da solo con i miei pensieri, mi chiedevo caso potessi fare io per migliorare la vita di quei bambini.
La risposta era sempre la stessa.
Sostenere le persone che dedicano la loro vita ad aiutare questi bimbi, come i Missionari Giorgio e Marta , i Frati Francescani di Rushooka e le associazioni serie come l’AICO.
È l’unico modo per fare sì che l’aiuto di ognuno di noi arrivi effettivamente a chi vorremmo aiutare.
Si possono trovare mille motivazioni per fare del bene a quei bimbi, basta trovare in noi quella che ci spinge maggiormente a farlo.

Quello invece che mi ha colpito maggiormente dell’operato dei missionari laici Giorgio e Marta, è stato il fatto che hanno scelto di dedicare la loro vita e la loro missione a gli ultimi degli ultimi.
In Uganda ci sono molte famiglie povere da aiutare, ma al di sotto delle famiglie povere ci sono i ragazzi senza famiglia ed ancora più sotto, all’ultimo gradino sociale ci sono i ragazzi disabili.
Nascosti ed ignorati persino dalle loro stesse famiglie, questi ragazzi sono motivo di vergogna per chi li cresce e spesso condotti da veri e propri stregoni perché tacciati di essere preda dei demoni.
Aver preso in carico il compito di accogliere e seguire questi ragazzi disabili nella loro intera quotidianetà, rende ai miei occhi  Giorgio e Marta vicini alle opere di Madre Teresa di Calcutta.
Il mio impegno non può essere altro che sostenere e le attività di questi missionari perché quello che fanno è esattamente e quotidianamente l’insegnamento della parola di Dio.

Il villaggio di Rushooka
Percorrendo  la strada che porta da Kampala ( la capitale a nord )  alla città di Kabale e poi  verso il confine sud ovest con il Ruanda,  unica strada asfaltata nel sud dell’Uganda, circa 40 km prima di Kabale si trova il villaggio “ delle cipolle” nome preso dalla coltivazione delle stesse.
Da qui, una strada sterrata porta al villaggio di Rushooka.
Ed è qui che, a causa del rallentamento dettato dalla strada sterrata, si aprono i finestrini dell’auto ed i bambini ci salutano con il classico…… Muzungo, che io ho imparato ad amare.
Il contrasto con i manifesti elettorali delle recenti elezioni presidenziali, affissi sulle mura di fango dalle case e delle capanne del villaggio, che tentava di riportarmi ad un credo occidentale, è stato forte .
La presenza di una Banca all’interno del villaggio fatto di case di fango…anche.
La vita del villaggio e quella dei villaggi circostanti, ruota attorno alle opere della missione Francescana.
Dalla scuola primaria, alla scuola dei disabili di Giorgio e Marta, alla grande Chiesa  ed il convento dei Frati.
Una messa quotidiana raduna i cristiani che sono circa 80% della popolazione.
Una piccola minoranza di Mussulmani sta crescendo grazie ai finanziamenti esteri destinati alla costruzione di molte moschee.
La giornata è scandita dalle ore di sole.
Dall’alba al tramonto tutti escono di casa con l’obbiettivo di portare cibo in casa.
Al  tramonto, senza l’elettricità nelle case di fango si và a dormire.
Quelle che credevo fossero grande distese di piantagioni di banane, sono invece matoche, un tipo di banana che è commestibile solamente cotta e che rappresenta spesso l’unico alimento che hanno.
La riverenza ed il rispetto con il quale salutano qualsiasi uomo bianco, fa trasparire le conseguenze di una colonizzazione subita.
Altro inequivocabile segno della “civilizzazione” che gli abbiamo portato e di cui ne avrebbero fatto volentieri a meno è il consumo di alcol.
Migliaia di bustine vuote da 100 ml.
Di pessimo alcol tappezzano  i lati delle strade dei villaggi.
Gli uomini adulti, invece di riportare a casa il poco guadagno della giornata, lo spendono in quelle maledette bustine che costano pochissimo .
Per comprendere come ci giudicano le persone del villaggio, mi piace ricordare un aneddoto.
Al nostro arrivo, siamo stati accolti da Giorgio e Marta e condotti in casa dopo il saluto organizzato dei bambini di Rushooka, la ragazza  di 19 anni che lavora come domestica presso l’abitazione di Giorgio e Marta con un pudico sorrisino, dopo il nostro passaggio,  si rivolge a Giorgio e gli chiede : Questi signori dovranno essere ricchissimi, visto che sono sufficientemente grassi, vero ?

Ecco……questo è bastato per non farmi dormire nelle due notti successive.

Realizzare finalmente quanto siamo fortunati solamente per essere nati in occidente, mi è costato l’insonnia.

I Frati Francescani
Grandi personaggi di spicco della comunità di Rushooka e dei villaggi limitrofi, sono i frati francescani.
Fra Fidelis 58 anni, Fra Agapitus di 41, e Fra Francis 40 anni, sono i frati di San Francesco di Assisi che occupano il piccolissimo convento.
Hanno una parrocchia che comprende una quindicina di villaggi nei dintorni.
Sono rispettati e riveriti dalle comunità limitrofe e non mancano di sostenere anche economicamente, le famiglie più povere.
Ad esempio pagando le tasse scolastiche ai bambini che non se lo possono permettere.
La comunità cristiana che fa capo ai frati di Rushooka è di circa 5000 anime.
Un giorno a settimana, la domenica sera, i frati ed i missionari, insieme ad eventuali volontari o semplici ospiti,  si riuniscono a cena e , unico giorno della settimana , mangiano carne alla brace.
I  miei compagni di viaggio ed io, abbiamo avuto la fortuna di cenare assieme a loro e godere della grande ospitalità offerta.
Durante la cena all’aperto, sotto una bella pianta al centro del chiostro, abbiamo scambiato opinioni sulla vita pastorale e, grazie alla traduzione di Giorgi e Marta, ho avuto il piacere di porre loro anche scomode domande di vita clericale alle quali hanno risposto senza sembrare scocciati.
Alla fine della bellissima serata, prima di commiatarci, ci hanno detto che era la prima volta che qualcuno gli sollevasse quelle che Giorgio ha tradotto come “ Terrible Question” .
Devo ancora ringraziare i frati per la loro apertura verso un disturbatore come me.

Un ringraziamento mi è dovuto anche ai miei amabili compagni di viaggio Mauro, Ivan e Stefano che hanno fatto di tutto per mettermi a mio agio in questa mia prima esperienza.

Li ho sentiti veramente vicini e disponibili a farmi da apripista in questo mondo che per me era sconosciuto.

In una frase che possa finalmente riassumere la mia bellissima esperienza in Africa,  e la mia voglia di rivedere quegli occhietti scuri, mi sento di dire

“ QUANDO RIPARTIAMO ?”

Grazie a tutti.
David Melandri

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